21 Agosto 2016 – XXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
21 Agosto 2016 – XXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
È pericoloso l’integralismo che si rifà al Vangelo come se fosse la risoluzione di tutti i problemi. Il vangelo non è un dogma, il Vangelo è un precetto di amore.
PRIMA LETTURA: Is 66, 18-21 – SALMO: 116 – SECONDA LETTURA: Eb 12, 5-7.11-13 –VANGELO: Lc 13, 22-30
…Secondo me, ci tengo a dirlo subito, la sorte del Vangelo è di essere sempre in fallimento, in un fallimento che non si chiude a se stesso, ma che ricomincia sempre in speranza. È questo il fermento che potrebbe arrivare a cambiare la terra. Ma guai a noi se noi ci proponiamo di correggere la parola stretta del Signore con addolcimenti che la rendono larga. Ricadremmo nel vizio che sto deprecando. La parola del Signore è la parola della non violenza. Essa chiede la mobilitazione di quella ferocia per cui l’uomo è innanzi tutto un aggressore dell’uomo anche quando l’aggressione avviene con le leggi. Tra l’aggressione fisica e quella che uno fa avendo dalla sua parte le leggi, non c’è differenza di qualità, c’è differenza di legalità. Se un senso ha il Vangelo – oppure è una parola vana – è di averci aperto la possibilità di un’altra porta, di un’altra strada: quella che rifiuta la logica della violenza. La parola dell’amore esplicata in tutte le sue esigenze di tipo operativo, a questo ci conduce: ad un altro modo di vivere. Noi abbiamo compiuto – come accennavo prima – una lettura del Vangelo che ci permette di non abbandonare i larghi spazi che abbiamo occupato. […] Tutti d’accordo nel dire che non si può usare l’arma atomica, ma poi i cristiani si dividono tra coloro che dicono: «tuttavia è possibile usarla come minaccia» e altri che dicono: «nemmeno come minaccia». Evidentemente chi dice che è lecito usarla come minaccia si trova in contraddizione dal punto di vista della logica, perché se è proibito l’uso è proibita la minaccia dell’uso. Se noi arrivassimo a proibire anche questa minaccia entreremmo in una strada stretta, terribile. E infatti appena alcuni Vescovi negli Stati Uniti si provarono a seguire questa seconda via, si è mosso l’impero per metterli a tacere. E c’è quasi riuscito. Voi capite che significa metterci contro questa etica dominante che si basa sul principio arcaico della legittima difesa. È un principio arcaico, se ci pensiamo bene. Ma le informazioni e la cultura dominante ci impediscono di pensarci bene, ci offrono in mille modi una saggezza omogenea alla forza bruta che cresce su di noi e che sta per estinguere la vita. I cristiani in che si distinguono dagli altri? In nulla! Pensano come gli altri. Che cosa è il loro Vangelo? È sale scipito! Se diventa sale sapido brucia e allora ci sono i provvedimenti. Eppure io sono convinto, e vi do testimonianza di questa convinzione, che o entriamo in questa porta stretta o siamo perduti. Intanto siamo perduti come cristiani perché non siamo luce: «Se la luce diventa tenebra, che sarà delle tenebre?». La luce è tenebra, non sappiamo dir nulla che sia al di sopra del senso comune. Abbiamo paura di ogni anticipazione profetica. Lasciamo stare quello che hanno fatto i nostri padri nel passato, all’interno di condizioni storiche totalmente diverse da quelle in cui siamo noi. Essi hanno giustificazioni che noi non abbiamo. In nessun consesso scientifico del passato si era, a fil di logica, prevista la possibilità che tutto il pianeta terra diventi una palla senza vita. Noi oggi lo prevediamo a fil di logica. Questo è possibile oggi: come possiamo ragionare con gli argomenti di ieri? Il mio richiamo alla fedeltà al Vangelo esige un chiarimento, perché c’è un bivio delicato a questo punto. In ogni formazione ideologica ed anche religiosa c’è oggi una rincorsa alle origini, ad esempio alla lettera del Vangelo o del Corano… È pericoloso l’integralismo che si rifà al Vangelo come se fosse la risoluzione di tutti i problemi. Il vangelo non è un dogma, il Vangelo è un precetto di amore. Se prendo il Vangelo come una professione di fede allora io, in questo caso, divido gli uomini; prima di parlare di professione di fede – ne parleremo poi – parliamo dell’obbedienza alla parola. Non chi dice: «Signore!Signore!» ma «chi fa» entra nel regno. Qual è la parola che riguarda il fare? È l’amore per i fratelli e soprattutto per i lontani, soprattutto per quelli che non appartengono al mio gruppo etnico, alla mia cultura, alla mia nazione. La parola evangelica assume come punto di riferimento di questo amore proprio l’estraneo, il nemico. Non c’è dunque dogmatismo di tipo religioso alla base del mio richiamo alla fedeltà, c’è l’uomo, l’amore per l’uomo senza di che tutto il resto è menzogna. Come quando quel giovane disse al Signore: «Io voglio essere perfetto, che devo fare?». «Va! vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e vieni con me», segui la mia via, segui la mia croce, segui la mia lotta, ma dopo aver compiuto una spoliazione a favore degli esclusi e dei poveri. La fedeltà al Vangelo è sempre una risposta che mette in questione radicalmente i miei rapporti reali, perfino economici, col mondo. Non è un fatto interiore. Al livello delle scelte empiriche e concrete ognuno deve tener conto di ciò che sa, di ciò che vede; delle sue responsabilità effettive. Ma nel progetto in forza del quale esce dalla sua solitudine e si immette negli spazi dove si fa la storia, deve prevalere l’opzione per la porta stretta. Altrimenti siamo perduti: ci sarà «pianto e stridor di denti». L’alternativa della negazione, della notte, della tenebra, della non-vita è dinanzi a noi.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” vol. 3