20 Agosto 2023 XX Domenica T.O.
20 Agosto 2023 XX Domenica T.O.
Prima lettura: Is 56, 1. 6-7;
Salmo 66;
Seconda lettura: Rm, 11, 13-15, 29-32;
Dal Vangelo secondo Mt 15, 21-28
Tante volte, in questi ultimi mesi, ci siamo trovati ad affrontare nella
nostra riflessione, il tema della universalità della salvezza sulla
sollecitazione dei fatti del’Eta che viviamo — nell’orizzonte della
città o nell’orizzonte del pianeta — e sulla sollecitazione sempre più
acuta che ci viene da una parola di Dio riscoperta al di là —delle
mediazioni tradizionali. Io sono convinto che siano i primi tentativi di
scoprire, in un modo più radicale che ai nostri padri non fu concesso,
il senso autentico del Vangelo di salvezza in diretta correlazione col
significato della nostra ormai reale condizione di famiglia umana,
nella quale ogni divisione pesa sempre più come assurda e
intollerabile. Siamo in questa congiunzione-—a con tutto il peso del
passato che fuori di noi ha creato divisioni, strutture, lingue, culture
di separazione e dentro di noi angustie, pregiudizi da cui non è
possibile liberarci senza che nel contempo abbiamo l’impressione di
cadere nell’assenza di identità. Per ritrovare la formula che ho già
usato, il senso del futuro è nella manifestazione dell’altro in quanto
altro, nell’accoglienza dell’altro in quanto altro, dentro un medesimo
disegno salvezza. Al riguardo dobbiamo dirci cose che i nostri padri
non potevano, se non in qualche rapida anticipazione, comprendere
appieno perché la nostra condizione è unica nella storia dell’umanità.
In questi giorni anche in voi sarà rimasta la serie di immagini
inquietanti delle folle arabe che sempre più si trovano unite in un
rigetto violento del nostro mondo. Questa scoperta oltre a darci
legittimi timori per il futuro, ci spinge anche ad una riflessione seria
sul nostro passato. Certamente una riflessione che deve svolgersi a
vaari livelli — che ora non possono essere rievocati — ma che ci
richiama al livello fondamentale del senso che hanno i molti popoli.
La parola è però troppo generica, suggerisce rappresentazioni
omogenee irreali, meglio dire le molte «etnie», perché ogni popolo è
una memoria solidificata, in un perimetro di separazione dagli altri
popoli, è una fiera percezione della propria differenza… Noi
credevamo che queste identità fossero relitti del passato, destinati al
discioglimento in una uniforme umanità, ora ci accorgiamo che ci
siamo sbagliati e che la percezione delle comuni minacce che tutti ci
avolgono, lungi dal suggerire omogeneità superficiali e rapide,
acuisce il senso della propria identità. E questo, forse,
sommariamente esposto, il significato di alcune esplosioni della storia
di questi mesi, soprattutto di questo ultimo anno. Rifacciamoci un
momento, a partire da questa situazione che ho rievocato per somme
linee, alle provocazioni che ci vengono dalla Scrittura. Il profeta Isaia
parla ad un popolo che nel ricomporsi, dopo l’esilio, nella sua unità,
nel suo territorio, attorno al suo tempio esalta la propria differenza —
come capita ai popoli che devono superare lunghe stagioni di
frustrazioni — e non sente più il significato dell’universale missione
data da Dio. Il profeta richiama l’immagine potente del tempio come
casa di preghiera per tutti i popoli. Quindi Israele deve tenere aperte
le porte a tutti i popoli. Tuttavia in questa profezia c’è ancora un
limite: i popoli devono guardarsi dal profanare il sabato, devono cioè,
in qualche modo, accettare la legge e poi, di qualunque popolo siano,
saranno accolti nella comune casa di preghiera. E già una condizione:
la circoncisione. L’altra situazione è quella di un’altra comunità, la
comunità cristiana in terra giudaica, in cui i cristiani già Ebrei non
sapevano comprendere come si potesse aprire la porta ai Gentili, ai
pagani. Essi erano gli eredi della salvezza. Allora l’evangelista
rievoca un’immagine di Gesù, anche sconcertante, perché sulle sue
labbra ci sono, con molta acutezza pedagogica, le parole che
circolavano nella comunità cristiana impaurita da queste aperture.
Gesù dice: «sono stato mandato solo per salvare quelli della casa di
Israele». «Non è bene prendere il pane dei figli, dice alla cananea, per
darlo ai cagnolini».
Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A