2 Giugno 2013 – CORPO E SANGUE DI CRISTO – Anno C
Se mangiamo un po' di pane insieme, se offriamo un bicchiere di vino con amicizia, dilatiamo l'Eucarestia.
PRIMA LETTURA: Gn 14, 18-20- SALMO: 109- SECONDA LETTURA: 1 Cor 11, 23-26- VANGELO: Lc 9, 11b-17
…Oggi non sono più pensabili atteggiamenti che erano pensabili quando ero ragazzo, in cui anche le processioni del Corpus Domini erano manifestazioni di potenza numerica lungo le strade della città, con accanto la gente che contava, in cui anche il mistero dell’Eucarestia, anche il Cristo re era una formula di potenza. Oggi quelle cose non si possono nemmeno dire perché un cuneo si è inserito fra di noi ed è questo appello alla universalità ad accettare le dimensioni del mondo che è diventato una casa comune per tutti noi. Si sveglia allora dal profondo questo istinto dello Spirito Santo che scompone i quadri precisi, i quali hanno una loro provvisoria necessità, sono la struttura su cui si regge lo slancio vitale che si muove non nel vuoto ma dentro la materia. E noi siamo la materia. Le strutture, le istituzioni, le liturgie sono la materia di uno slancio che non è materia che si dilata e che va oltre. Noi dobbiamo mirare a questo corpo unico, a questa Eucarestia universale, subordinando a questo scopo tutto ciò che appartiene al cerchio ecclesiale.
Questi discorsi visti in questa latitudine, sembrano passarci sulla testa, ma riempiono di senso i nostri rapporti quotidiani. Gli "altri" noi li incontriamo tutti i giorni, ci sono accanto, forse nella stessa famiglia. Gli altri, quelli che non fanno la comunione, li abbiamo attorno. Anche loro sono dentro questa Eucarestia. Se mangiamo un po' di pane insieme, se offriamo un bicchiere di vino con amicizia, dilatiamo l'Eucarestia. Questa amicizia della creazione non è un fatto profano che va consacrato, è santo in sé; non va afferrato e collocato dentro il nostro quadro di dominio universale, è già santo in sé perché è nato dal seno dell'aurora. La chiesa è nata nel crepuscolo ma c'è qualcosa che è nato dall'aurora, e che nasce di continuo, ed è l'essere vivente che ci viene accanto. Sono i popoli lontani che ci appartengono, e soprattutto quelli su cui il terribile taglio della divisione ha lasciato il segno: gli estranei, i negri, i reietti… perché questa creazione ci è affidata. Volere un corpo solo, questo vuol dire. Allora il soffio dello Spirito, che era rimasto come contratto e soffocato dentro le nostre presunzioni religiose e ritualistiche, scompiglia la prigionia e si dilata secondo una nuova Pentecoste. E' quello che sta avvenendo in molti modi. Certo, nel travaglio. Per rifarmi ad una immagine con cui sono partito; come quando andiamo a ritroso per interrogarci sulle origini delle cose ci muoviamo nella ambiguità tra un sentimento di insignificanza del tutto di pura casualità e il sentimento invece di un finalismo luminoso e amoroso, cosi quando guardiamo in avanti possiamo seguire le due spinte avendo a disposizione argomenti per decidere quali delle due potrà vincere. Chi vuol dimostrare che tutto va alla malora ha molti argomenti in mano. Che lo spirito di dominio e di morte vince ogni giorno sono le cronache a dircelo. Però potremo fissare gli occhi anche su altri segni, su questa scansione della vita che ascende. Ne abbiamo tanti: i popoli si uniscono, le barriere cadono… E' una straordinaria fase, questa. Chi deciderà? Ecco allora il nostro impegno. Invece di celebrare le nostre messe dovremmo metterci all'opera perché vinca questo processo che costruisce il corpo del Signore perché tutte le cose siano una sola cosa. Questo è il senso della Creazione e della Redenzione.
Ma la Redenzione è – per usare i termini classici – al servizio della Creazione, non l'opposto. Il Gesù che viene – noi celebriamo l'Eucarestia per annunciare la morte del Signore finché Egli venga – non è quello che è stato, è, come diceva Agostino, il 'Christus totus'. Nel suo volto troveremo il volto di tutti gli uomini. Non è quindi l'individuo della Palestina, vissuto duemila anni fa, è l'uomo totale che viene, l'uomo del cerchio grande che fu, è e sarà, perché egli è venuto e viene. Il nostro impegno è di mettersi al servizio del re della pace, che è dovunque, e noi dobbiamo spezzare i meccanismi della guerra, della divisione che sono penetrati anche dentro le Chiese e le hanno asservite a sé. Questa Eucarestia nei prati della Palestina sembra piuttosto la scorribanda festiva, da vacanza, che non un simbolo profetico del futuro perché troppo dure e rigide sono le nostre discipline, da cui è scomparso perfino il sapore della festa. Dovremmo impegnarci a questo che è il senso della nostra vita, e ciascuno al posto suo, con le sue possibilità che sono innumerevoli: anche la musica, il canto, la poesia, l'amore e soprattutto la costruzione della pace nelle sue strutture pubbliche, nel superamento delle ingiustizie e nella riconciliazione, che sarà il compito del secolo prossimo, tra l'uomo e la natura, tra l'homo sapiens e le cose che ha in mano e che sono diventate sue nemiche.
Questo è il grande compito che abbiamo. Qui si inscrive la vocazione cristiana diventando semplicemente, senza degradare, vocazione umana.
Ernesto Balducci – da : Omelie sparse – 1989 – anno C