18 Giugno 2023 XI Domenica T.O.
18 Giugno 2023 XI Domenica T.O.
Prima Lettura Es 19, 2-6
Salmo Responsoriale (Sal. 99)
Seconda Lettura Rm 5,6-11
Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 9, 36-10,8
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In questa faticosa, a volte drammatica, ricomposizione della coscienza cristiana, mi
sembra debba avere sempre sommo rilievo il fatto che in quanto cristiani noi facciamo
parte di un popolo che ha, di fronte al mondo, la responsabilità messianica -Non dunque
il momento religioso ci distingue, ma il momento messianico. E il momento messianico
comporta due processi tra loro strettamente congiunti, che possiamo rilevare dalla stessa
pagina della Scrittura. Il popolo a cui Mosè trasmette il proclama di Dio è un popolo che
Dio ha sollevato su ali di aquile: lo ha liberato dall’Egitto. È un popolo libero. È un regno
di sacerdoti; non è un regno con a capo i sacerdoti: è un regno di sacerdoti. E una nazione
santa: non è una nazione affidata alla gestione di persone sante, è una nazione santa. Tra
questo popolo e Dio non ci sono intermediari; su questo popolo non ci sono autorità
delegate da Dio. Questo popolo è il popolo di Dio: nella sua unità. Tutte le
differenziazioni sono interne e funzionali a questa unità del popolo di Dio.
Allora, la prima caratteristica di questo popolo è l’eliminazione di tutti i poteri che
presumono di mettersi al posto della coscienza del popolo e della coscienza di ciascun
credente. Lo stesso avviene quando Gesù, dando veramente universalità al popolo di Dio,
chiama alcuni discepoli e li manda a liberare tutti gli infermi, tutti i malati di qualsiasi
infermità. È questo spettacolo di una turba che è stanca e sfinita, come pecore senza
pastore, non dobbiamo coglierlo nella sua immediatezza emotiva perché, in realtà, quella
turba non era senza pastore; ne aveva anche troppi! C’era un potere politico così serio e
severo come quello di Roma, c’era il potere religioso come quello del Sinedrio, c’erano
gli scribi, i farisei, gli anziani, i sacerdoti… era un popolo ben regimentato. Perché Gesù
nella Scrittura, dice che era un gregge senza pastore? Appunto perché era un gregge
stanco e sfinito; come è stanca, e sfinisce dentro, la piramide dei poteri che è sulla testa
nostra. L’uomo è stanco e sfinito quando la sua vita passa nell’obbedienza,
nell’inerzia: anzi, la stanchezza è una garanzia dell’obbedienza; più uno è stanco e più si
affida, ma la sua docilità non è che la mentita spoglia della stanchezza interiore. E
difficile vivere ogni giorno affilando le nostre decisioni sulla lama della coscienza:
venisse qualcuno a dispensarci! Questo è il sogno più profondo dell’uomo: il nonesercizio della libertà.
E gli ebrei avevano tanti pronti a sostituirsi. Tutte le attività della
giornata erano regolate da minutissime leggi. Quindi non era sbandato, questo gregge: ma
era sbandato perché le speranze, le attese, quelle che sono la vera sostanza dell’uomo
erano inibite e represse. Uno sdoppiamento che noi conosciamo bene: da una parte le
istituzioni ci assicurano uno svolgimento tranquillo della nostra vita, dall’altra ci
proibiscono di sperare: se uno spera è inquieto. Le istituzioni ci danno tranquillità e ci
rubano la speranza. Facciamo un patto.
Gesù viene e trova questo gregge di gente stanca e costituisce il nucleo del popolo
messianico. E come lo costituisce? Sceglie dei discepoli che solo la nostra fantasia epica
mette su un piedistallo: erano povera gente! In questo elenco c’è un cananeo, cioè un
profugo venuto da un paese nemico; c’è uno strozzino, un pubblicano odiato da tutti,
specie dai farisei perché collaborava col nemico, c’era perfino un zelota — diremmo noi,
con parola moderna: un guerrigliero —: questi erano gli apostoli: una manciata di uomini
tratti non dagli schemi culturali, sociologici, etici, dominanti, ma anche dal basso, dalla
ciurma, dalla turba stanca, perché anche loro erano stanchi.
Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A