18 Agosto 2024, 20° Domenica T.O.

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Prv 9, 1-6; Sal.33; Ef 5, 15-20; Gv 6, 51-58.

Non possiamo occultare l’umiltà della Sapienza con tutti i fasti cristiani: essa li
condanna tutti, senza riguardo. Ecco perché questa sapienza è pericolosa, è
come il fuoco nella sterpaglia: se si accende non si sa dove va a finire.
Facciamo di tutto per mettere argini, per spegnerlo questo fuoco -— o per
utilizzarlo per il bene comune, piegandolo alla saggezza umana, servendoci
del Vangelo per l’ordine pubblico, servendoci dei preti per la stabilità sociale.
La storia della fede è questa storia di grandezza e di ludibrio, soprattutto di
ludibrio, oggi come ieri. Ma chi ha la Sapienza che viene dal Signore non si
sgomenta, non dice: io me ne vado dalla Chiesa perché è uno schifo. Chi ha
sapienza non se ne va mai da nessuna parte: è li che resta. è lì che vive, è lì
che coglie la luce anche dove spesso è tenebra; non divide il mondo in
buoni e cattivi, non è il manicheo spiritualista, è uno che si adatta ad
essere un uomo senza splendore, senza successo, che rinuncia a fare l’eroe in
prima persona, e se ne sta nella sapienza che viene da Dio, E questa mensa
eucaristica dovrà essere, man mano che si sarà liberata dalla rigidezza del
ritualismo, il luogo in cui questa Sapienza diventa veramente nostro cibo
fraternamente condiviso, Voi sapete che il momento essenziale dell’Eucaristia
è l’anamnesi, cioè la memoria di ciò che è successo. Si accusa spesso
l’Eucaristia di essere una specie di magia, una forma, sia pure addobbata, di
cannibalismi arcaici e sacrali … Può anche essere, non c’è da scandalizzarci di
nulla dei meccanismi umani. Però se noi la viviamo secondo il suo statuto essa
è una memoria. Di che cosa? Di una storia. Di quale storia? Quella che vi ho
raccontato in sommarie parole: la discesa della Parola di Dio che si fa carne,
che viene condannata e che si fa cibo per gli uomini. Questa è la mensa in cui
noi nutriamo noi stessi di sapienza, ed è una mensa aperta agli umili, ai
semplici perché esige un atteggiamento dello spirito diverso da quello con cui,
giustamente, ad esempio, si entra in un’aula universitaria. Non dobbiamo mai
irridere alla cultura perché essa è cosa seria. Però, quando ci accostiamo a
questa sapienza, noi non andiamo come dotti, ma come semplici, perché è una
sapienza che viene verso di noi, che chiede a noi solo il sì, l’adesione amorosa,
non 1a bravura intellettuale. Ecco perché vorremmo che questa mensa fosse
per i poveri, soprattutto, per i reietti. Ma, ripeto, noi scontiamo grossi peccati
storici.

Non ci agitiamo troppo per questo. L’importante è che con sapienza noi
sappiamo vivere al nostro posto, cercando di aprire gli spiragli alla sapienza di
Dio perché ci inondi, perché ci cambi. Difatti: « chi mangia questa carne e
beve questo sangue ha in sé la vita eterna, e io lo resusciterò C’è una vita
eterna già ora, presente. Si possiede, come il sangue che circola in noi,
invisibile ma reale. Questa vita eterna ci dà gioia, gratitudine. Ecco perché
Paolo dice, esortando a non essere stolti ma saggi: « Cantate con ebrezza di
Spirito Santo, siate nella gioia », perché è grande la notizia che ci diamo: che
la vita eterna non è una specie di premio, di palio che ci attende dopo la corsa
della vita e chissà se ci arriveremo … No. La vita eterna è una lampada già
accesa in tutti gli uomini, anche i non credenti: anche in loro è la vita eterna,
perché la sapienza di Dio va dove noi nemmeno crediamo.
Non abbiamo noi la padronanza degli interruttori per accendere e spegnere
questa luce, perché l’accende Dio. Bisogna avere occhi per vederla. Questa
sapienza è beatitudine interiore, piena di consonanze con le meraviglie di Dio
e soprattutto feconda di impegni, perché questo mondo passi e si realizzi il
Regno governato dall’unica legge dell’amore,

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

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