17 Gennaio 2016 – 2^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
17 Gennaio 2016 – 2^ DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C
Il vino nuovo è la libertà dello spirito, è la fraternità senza motivi e non per necessità di giustizia – che pure è una necessità a cui dobbiamo obbedire – ma per gratuità.
PRIMA LETTURA: Is 62,1-5- SALMO: 95- SECONDA LETTURA: Cor 12,4-11- VANGELO: Gv 2,1-12
…Quando la Scrittura ci dice che la Sapienza giocava davanti a Dio che creava il mondo, vuol dire che al principio di tutte le cose c’è una specie di gioco che noi non possiamo esprimere concettualmente senza smarrirci in estetismi discutibili. Quando parliamo del messaggio evangelico non dobbiamo mai ridurlo, anche se esso attraversa gli spessori della nostra vita culturale, a nulla che corrisponda ad una legge morale. Non c’è una legge morale evangelica. Non per nulla Gesù si diverte – in qualche modo è un ludens! – quando dice ai severi ascoltatori, gente certo onesta come i Farisei: «Le prostitute vi giudicheranno!». Crolla l’universo morale, crolla tutto! Cosa vuol dire? Vuol dire che le nostre virtù serie non contano per il regno di Dio, non sono il vino nuovo. Il vino nuovo è la libertà dello spirito, è la fraternità senza motivi e non per necessità di giustizia – che pure è una necessità a cui dobbiamo obbedire – ma per gratuità. Non per nulla la storia contemporanea, che si rifà sempre alla grande rivoluzione con tre parole: libertà, uguaglianza e fraternità, ha preso sul serio le prime due ma sulla terza non sa che fare. Come si può fare la fraternità? Eppure questa è la sfida! Fatemi un mondo di uomini uguali e liberi: è un mondo triste se non è fraterno. Ma come si fa a mettere per legge la fraternità? La fraternità non rientra nelle necessità, è una libera elezione. Non si è fratelli per forza, come non si è sposi per forza. Perché anche il matrimonio ha due volti: uno rientra nella necessità istintuale e legale, il resto è gratuito. Questo elemento inafferrabile è il Vangelo, perché ci viene detto che l’essenza del futuro rassomiglierà a questo. Ne deriva che noi ci troviamo a dovere, per un verso, – ecco il nostro triste ministero – affermare l’importanza delle leggi morali, con convinzione. Ci sono leggi morali che vanno rispettate perché il loro senso ultimo è proprio in questo loro trascendimento nel gratuito. L’essenziale però non è in questo, è in qualche cosa di altro. Se dovessimo leggere il Vangelo con l’ottica che ora ho tentato di costruire troveremmo pagine di straordinaria bellezza, come il discorso di Gesù con la Samaritana… Tutto il Vangelo è questo, anche se noi abbiamo dovuto sforzarci per farne un anello nella catena culturale dell’umanità, collocando, magari, la rivelazione cristiana dopo il pensiero greco. Insomma, lo abbiamo utilizzato. Ma il Vangelo non è questo. Abbiamo costruito una Chiesa con tutte le leggi, ma il Vangelo non è questo. Abbiamo creato la scuola cattolica, ma il Vangelo non è questo. Questo è il Vangelo in quanto entra nell’arco delle necessità, che è il nostro arco. Il guaio è che spesso abbiamo ridotto tutto a questo, abbiamo tappato gli spiragli per paura che le coscienze ci scappassero di mano. Perché non si può pensare a questo Evangelo di gioia senza lasciare alle coscienze la piena libertà, liberandole dalle mediazioni che opprimono. Come si fa ad annunciare il Vangelo come questo? È difficile, però è questo il senso misterioso della comparsa di Gesù fra gli uomini. In Fondo, quando Egli va a questo pranzo di nozze con la madre e i parenti assolve a doveri sociali che anche noi assolviamo. Si va, si deve andare: è cugino, è tuo parente, è amico! È la necessità sociale. Gesù fino a quel momento sta dentro, non si distingue da un altro ospite, e quando la Madre fa pressione, dice: «Non è ancora giunta la mia ora. Che c’è fra me e te o donna?», l’ora del miracolo, l’ora della Resurrezione! All’improvviso Egli compie il segno. Come dire che il Vangelo fiammeggia dentro gli spazi della necessità quotidiana, quando meno ve lo aspettate. Dobbiamo stare sempre all’erta perché la chiamata può arrivare quando meno ce lo aspettiamo, possiamo sentir bussare alla porta quando meno ce lo aspettiamo – arieggio qui frasi della Scrittura – e guai se accade ciò che diceva in una bella frase Sant’Agostino: «Ho paura di Gesù che passa e non torna più». Questo arrivo è imprevisto, può arrivare in mille forme. Devo chiudere qui con la convinzione di aver detto ben poco, comunque di aver messo a fuoco questa specificità del Vangelo. Va da sé, non so trattenermi dal dirlo, che se io prendo il Vangelo in questa sua specificità sono in grado di risolvere il problema che dovremo affrontare tante volte nel futuro: come si fa a portare il Vangelo alle altre creature? Ci sono etnie, popoli che son vissuti al livello dell’homo ludens. Non hanno macchine, non hanno lo Stato, non hanno le leggi e noi diciamo: primitivi! Chi lo sa che non siano gli ultimo ad essere i primi? Per ciò che ci viene fatto di conoscere del mondo esterno al cristianesimo può darsi che il vino buono si prepari là, perché il vino nostro, di noi cristianità, è un vino artificiale, è contagiato. Forse occorre essere pronti a fare questo: a sostituire ad un teologo un selvaggio! Viene un selvaggio e ci insegna più lui che un teologo, perché questo Vangelo non si insegna, è un prodotto straordinario della grazia che scende e della grazia che sale. Come potete prestabilirlo? L’importante è esser pronti a tutti questo. E che Dio ci tenga pronti!
Ernesto Balducci – da “Il tempo di Dio” (1992)