15 Agosto 2024, Assunzione

15 Agosto 2024, Assunzione

15 Agosto 2024, Assunzione

Ap 11,19;12,1-6.10; Sal 44; 1Cor 15, 20-26; Lc 1, 39-56.

 

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Per una breve riflessione attorno al mistero di Maria, prendiamo lo spunto da ciò che ci
dice Paolo nella sua ricostruzione tipologica della storia dell’umanità. Secondo le scuole
rabbiniche, egli procede per simboli. Qui abbiamo due simboli — il primo Adamo ed il
secondo Adamo — dai quali si svolge, come da sorgenti remote, la duplice storia che poi
è una sola storia.
La storia del primo Adamo è la storia secondo l’uomo. Noi oggi siamo costretti a
ricordarcela con parole meno ingenue che nel passato. La scienza ci obbliga a risalire in
secoli remoti per percepire all’interno della complicata epopea delle specie viventi, il
primo barlume del pensiero umano. L’uomo emerse non in un paradiso terrestre, ma in
qualche paese del mondo dove l’animale cominciò a pensare. Fu un fatto infinitesimo,
niente cambiò e tutto cambiò. Nulla mutò nella specie animale-uomo, eppure da
quell’improvviso salto che dalla psiche costretta ai ritmi della ripetizione e dell’inerzia salì
al pensiero che trasforma il mondo, è cominciata la storia del Primo Adamo, che ancora
continua, che è storia di vita e di morte, nella quale però l’ultima parola è quella della
morte. La stessa scienza che ci obbliga ad andare avanti e a ricordarci che la storia della
vita nel cosmo è provvisoria, ci obbliga a risalire in epoche lontane e buie. Tutto è chiuso,
dunque, nell’impero della morte, Questa è la storia vera secondo la nostra ragione.
Però come nell’infinitesimo emergere del pensiero è cominciata la grande storia
dell’umanità, così dall’improvviso emergere della grazia, dell’iniziativa di Dio dentro la
trama della storia umana è cominciata una nuova creazione.
La resurrezione di Gesù per noi è l’inizio di un nuovo tempo, di una nuova storia, come
l’emergere del pensiero umano all’interno della specie precedente all’uomo. Questa
seconda storia noi la viviamo nella fede. La storia dell’uomo ha come principio creativo e
conoscitivo la ragione, questa storia di salvezza ha come suo principio la grazia, come
suo strumento conoscitivo la fede. Il nostro sforzo è di tradurre in termini razionali,
comunicabili, questa certezza. Per quanti sforzi facciamo essa sovrasta le possibili
percezioni dell’uomo. Sarebbe come voler spiegare ad un animale la bellezza di un quadro
o di una musica. La fede spiega se stessa con se stessa, chiusa in questa impotenza
straordinaria. Ma beato chi crede, nel senso che allora ai suoi occhi si dischiudono le
meraviglie della salvezza di Dio. Maria esprime queste meraviglie col canto del
Magnificat che è anche esso una storia della salvezza. Essa raccoglie la beatitudine
proclamata da Elisabetta e la ribalta in una esaltazione delle opere di Dio attraverso la
storia, opere che ancora continuano: Dio disperde i superbi, rovescia i potenti, manda i
ricchi a mani vuote . . .
Dio sceglie l’umile fanciulla di Nazareth e abbandona invece al loro destino le attese
presuntuose delle caste di Israele. Il Messia viene proprio là dove non ci si aspetta. E così,
costantemente, Dio elimina i potenti e realizza un’altra storia nel mondo, che non è quella
pubblica, dove, come vediamo, le cose non sono mutate: i potenti comandano, i ricchi
hanno le mani piene, i poveri le hanno vuote, dove insomma non torna niente di quello
che qui è stato detto. Ma è proprio vero che non torna niente? Visto che la storia della
salvezza ha il suo esito vero non nell’ultima parola della morte, ma nell’ultima parola che

è la vittoria sulla morte, allora questa storia si svolge già ora in proiezione verso un
evento glorioso che ancora non si è manifestato, ma di cui vediamo le trasparenze nel
tempo. Non solo le vediamo, ma le dobbiamo operare. Per dirla in parole semplici, il
vero modo di credere nella grandezza di Maria è di far di tutto perché i potenti caschino.
Cioè il vero modo di esprimere la fede è di assumere, di fronte alla storia dell’uomo, un
atteggiamento secondo la storia di Dio e cioè provocando il ribaltamento delle gerarchie.
Perché se noi siamo umili dinanzi ai potenti, noi non crediamo nel mistero di Maria. La
fede nell’assunzione di Maria non è un’esaltazione, con immagini impossibili, di un corpo
glorioso che non sappiamo dove collocare: tutto è nel mistero di Dio, in cui non entriamo
perché Egli è al di là del velo del santuario che non si aprirà ai nostri occhi se non quando
esso si squarcerà. Quel che conta, invece, è poter vivere nel mondo una storia che ripeta le
meraviglie che Maria qui canta e che sono meraviglie di salvezza nel tempo. Sono
meraviglie però che noi possiamo narrarci solo nella fede. Sul piano storico uno scettico
avrebbe mille prove da metterci sotto gli occhi. Cambiano i nomi dei Faraoni ma i
Faraoni continuano; cambiano le fonti della ricchezza, ma la distribuzione iniqua della
ricchezza c’è ancora; cambiano i modi con cui i poveri soffrono e muoiono, ma i poveri
soffrono e muoiono. E così via. Questa specie di ferrea legge smentisce le nostre
professioni di fede le quali hanno forza non perché sono le sintesi dell’esperienza, ma
perché urtano contro l’esperienza basandosi sulla Parola di Dio: « Beata te, che hai
creduto ». Creduto e vissuto. Maria infatti non è mai presente — ed è un fatto singolare,
questo, nel Vangelo nei momenti di gloria di Gesù: è presente sul Calvario, cioè nel
momento in cui il povero è al primo posto. Maria è presente sotto la Croce, nella
deposizione, quando dunque la storia, che ha avuto momenti di grandezza e di trionfo per
il Figlio suo, si è chiusa nella ignominia e nella sconfitta. E attraverso quest
partecipazione alla vita di fede che noi entriamo davvero nel suo mistero e viviamo la vita
del secondo Adamo, cioè di Gesù, che dà inizio alla storia di Salvezza, la cui scaturigine
non è nel salto di qualità delle capacità cogitative dell’uomo, dell’homo sapiens, ma nella
potenza della vita che vince la morte e che in Cristo si è manifestata. Egli è la primizia e
noi crediamo che a questa primizia, la liberazione dalla morte, ha partecipato anche la
Madre, Maria, perché ha creduto. Dato che in ragione della sua fede ha portato nel suo
seno Gesù, il Figlio di Dio, la Chiesa afferma che essa partecipa anche alla sua gloria di
resurrezione. Ma noi, lo ripeto, entriamo davvero nello spirito del Vangelo se, facendoci
largo tra le quinte delle raffigurazioni gloriose di Maria, che sono un aspetto singolare
della storia visibile della fede, entriamo nel mistero della sua umiltà e della sua
proclamata certezza che Dio sconfigge i potenti ed esalta gli umili. La certezza nel
Vangelo non è mai un assenso interiore ed inerte: è un progetto di vita nel mondo. Noi
siamo credenti se ci impegniamo a vivere senza sudditanza di fronte ai potenti, aperti
verso i poveri, perché di loro è il Regno di Dio, senza l’ambizione della ricchezza, ma
riponendo la nostra fiducia nell’amore, senza seguire la logica della potenza, ma seguendo
la logica della non violenza. Certo, lo ripeto, la fragilità di questo Regno di Dio è
straordinaria. A viverne le leggi si entra in conflitto con questo mondo e si perde. Un
uomo profondamente non violento è un vaso di argilla tra vasi di ferro: non può
presumere di vincere nelle battaglie storiche.
E così si dica di tutte le altre espressioni delle beatitudini evangeliche che Maria visse in
anticipo. Per questo noi crediamo che essa non soltanto ha meritato il Regno, ma lo ha
esemplificato, al punto che nella fede cristiana le caratteristiche gloriose dell’umanità
redenta nel Regno di Dio sono già raffigurate in Maria.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

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