14 Maggio 2023 VI Domenica di Pasqua

14 Maggio 2023 VI Domenica di Pasqua

14 Maggio 2023 VI Domenica di Pasqua

Prima Lettura At 8, 5-8, 14-17
Salmo Responsoriale (Sal. 65)
Seconda Lettura 1Pt3 , 15-18

 

Vangelo secondo Giovanni Gv 14, 15-21

Questo è tutto ciò che è possibile all’uomo: liberare la speranza dai falsi oggetti in cui essa tende a placarsi per poi avvertire il vacuo degli oggetti sperati ed indicare i possibili obiettivi dell’esistenza. Quando la speranza ha questa rettitudine di struttura, il viaggio degli uomini è comune. Non importa nemmeno sapere dove si arriva, l’importante è sapere dove si volge il passo. Questa comunione del camminare, che sorpassa le fedi religiose, è fondamentale specie quando non è più possibile nemmeno immaginare carovane umane separate fra di loro, ciascuna nel suo continente spirituale, senza relazioni con le altre. Ormai, sempre di più, le carovane confluiscono, gli africani ed i bianchi camminano nelle stesse strade, ormai c’è questa confluenza che sarà un drammatico e meraviglioso tratto del futuro verso cui andiamo. Dove dobbiamo andare?
La domanda prima — e qui la fede porta una sua luce che non è in possesso di tutti — che ci facciamo a questa profondità dove cerchiamo di rimettere a posto il senso del vivere e la sua prospettiva, è se siamo orfani in questo mondo. La condizione dell’orfano è la condizione dell’uomo che non appartiene a nessuno, non è di nessuno, non ha nel suo cuore punti di riferimento se non al passato e quindi è animato di nostalgia e di tristezza.
Noi siamo orfani in questo mondo? È una domanda tutt’altro che retorica, che spesso mi viene nell’anima quando incontro esseri umani che non significano più nulla per nessuno, che a volte la carità pubblica tiene su a fatica, con la speranza che si levino di torno. Ci sono tanti esseri umani sulla cui faccia non batte nessun raggio di simpatia. Forse sono miliardi e in ogni modo ce ne sono tanti, anche fra di noi. Mi domando: che senso ha vivere? Di chi sono questi esseri umani che ormai sono appena un nome in una anagrafe sperduta? La risposta è importante perché ci riguarda tutti. Il senso della vita che riusciamo a cogliere con tanta fatica è un senso che ci frana sotto i piedi non regge. Se non diamo una risposta a questa prima domanda c’è nel nostro intimo un anello spezzato che non regge. Non si vede, ma viene il momento in cui — per riprendere l’immagine — la catena tira e, non essendoci l’anello, tutto si sgretola. Quando nell’esistenza — penso
ora ai giovani — il senso del vivere non appare, nascono forme di idolatria, di fanatismo di ogni genere. Alla radice c’è la non risolta scelta del senso del vivere, la mancanza di rettificazione delle speranze. Il nostro compito è di rimettere a posto la speranza. Una speranza che però deve avere — e qui entriamo subito nel contesto specifico del messaggio cristiano — una sua articolazione ben salda per non degenerare. Quando ascoltiamo queste parole — così intense anche di affettività — di Gesù: «Non vi lascerò orfani, ritornerò…», non dobbiamo lasciarci sedurre da questo tono intensissimo da commiato familiare, dobbiamo chiederci che cosa c’è dentro. Perché Egli parla di un consolatore? Abbiamo forse bisogno di consolazione? Diciamoci subito di sì. Sì, se il senso vero dell’esistenza, quello radicale, è la solitudine. Noi esistiamo a più livelli. Può darsi che a tutti gli altri livelli non siamo soli ma c’è un livello di fondo in cui siamo soli e non sappiamo risponderci. Perché ci siamo? Cosa ne è di noi quando l’arco del vivere si sarà chiuso? O noi scartiamo questa domanda — e per lo più lo facciamo, molti non se la fanno mai — o, se ce la facciamo, abbiamo bisogno di una consolazione, cioè di una certezza che sia di consolazione. Questa certezza «Io vivo e voi vivrete» è una certezza luminosa. All’improvviso essa apre in noi la speranza. Notate: ho detto speranza. Non la certezza squadrata, prensile, ma la speranza che si accende appena come un lucore del mattino. Non è un meriggio. Questa speranza è però fondamentale ed ha come suo punto di riferimento la vita: «Io vivo e voi vivrete». Questa è la consolazione che abbiamo nel cuore. È una consolazione nella sua origine e nella sua realtà così delicata che si può
corrompere con un nulla. Molti rimproverano alla fede di essere una illusoria consolazione e spesso appare così, ma la fede non è semplicemente questo. Intanto è anche il saper rendere conto di questa speranza.

Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A

/ la_parola