14 Gennaio 2018 – 2^ DOMENICA T.O. – Anno B
14 Gennaio 2018 – 2^ DOMENICA T.O. – Anno B
C'è una storia recondita dell'umanità che è storia di salvezza e noi non possiamo metterci al centro. Ecco dove spesso i profeti peccano di indulgenza verso gli impulsi etnocentrici, come quei profeti che sembrano fare di Israele il popolo salvatore del mondo. Non ci sono popoli salvatori.
PRIMA LETTURA: 1 Sam 3, 3b-10. 19- SALMO: 39- SECONDA LETTURA: 1 Cor 6, 13c-15, 17-20- VANGELO: Gv 1,35-42
Anche i profeti si sbagliano. Si era sbagliato Isaia quando, preso dall'entusiasmo perché un imperatore pagano ma lungimirante come Ciro aveva provveduto a liberare dalla schiavitù il popolo di Israele in esilio. Lo aveva chiamato Messia, «Cristo, servo di Dio per restaurare la libertà del suo popolo». Il profeta corregge la mira e si accorge che, in realtà, il servo di Dio non può essere un uomo potente, è il servo che vive nella condizione di umiltà e che sarà chiamato non solo a restituire la libertà di un popolo, ma a portare la luce a tutte le nazioni. Nel profeta la delusione non è motivo di abbattimento ma è motivo di uno slancio verso l'universalità del disegno di Dio, a diversità di noi che dopo il fallimento delle nostre sicurezze, dopo la delusione delle investiture mal riposte ci ripieghiamo nella desolazione e nella disperazione. Evidentemente il punto di appoggio del profeta non sono i dati empirici, mutevoli della cronaca ma è un disegno di Dio percepito nella sua radicalità e i cui contenuti, nello svolgimento storico, si modificano. Per questo il profeta si corregge: per fedeltà a se stesso e non per uno sbaglio commesso. La profezia non sbaglia mai perché i punti di riferimento immediati sono labili, discutibili ma il postulato da cui muove è infallibile. Ho voluto compiere questa breve premessa per poi rifermi ad una affermazione che non ci è nuova ma che in questo brano è fatta in maniera suggestiva dal Battista, che dice che Colui che egli aveva battezzato era prima di lui. In questo passo si allude alla preesistenza di Gesù come Verbo di Dio. È un tema che lo stesso evangelista Giovanni aveva sviluppato nel prologo del suo Vangelo, la dove dice che il Verbo era presso Dio ed era Dio. Questa dottrina della preesistenza di Gesù in quanto Dio ab aeterno si presta, lasciando intatto il nocciolo della questione teorica, ad una riflessione estremamente congiunta alla nostra esperienza storica e al discorso sulla salvezza. Noi sbaglieremmo se, ostinandoci a collocarci al centro del disegno di Dio, noi che abbiamo avuto fede in Cristo, allargassimo i nostri sguardi ai popoli e agli individui con la pretesa che saranno salvi nella misura in cui accetteranno il nostro messaggio, come se cioè la salvezza venisse dall'esterno, da una proposta fatta da noi. Nemmeno Gesù presumeva questo. Egli si recava tra la gente non per dire:«Vi porto il regno di Dio», ma per dire: «il regno di Dio è già in mezzo a voi, è tra voi». C'è dunque una preesistenza del Cristo in tutti gli uomini a cui poniamo poco mente perché ci fa schermo una presunzione che non muore mai, che è dura a morire come il nostro io. È la presunzione di collocarci al centro del mondo, mentre al centro del mondo – ecco qual è la verità umanissima e insieme divina di questa affermazione – c'è l'intenzione di Dio, che era prima che l'uomo fosse, che afferra l'uomo e le creature tutte alla radice del loro essere. C'è dunque una salvezza che coincide con l'atto stesso della creazione, che sale dal profondo di tutte le creature e non solo come aspirazione ma come motivo di azione. C'è una storia recondita dell'umanità che è storia di salvezza e noi non possiamo metterci al centro. Ecco dove spesso i profeti peccano di indulgenza verso gli impulsi etnocentrici, come quei profeti che sembrano fare di Israele il popolo salvatore del mondo. Non ci sono popoli salvatori. A rigore non ci sono nemmeno salvatori, perché il salvatore è il Dio che ci ha creato. Gesù è venuto come esegeta di questa salvezza immanente a tutte le creature. Tutte le creature portano in sé questo afflato. Mi viene in mente quella straordinaria, altissima esperienza spirituale vissuta da Francesco d'Assisi quando, nello scrivere la sua Regola, aveva concentrato la sua visione del mondo attorno alla croce di Gesù Cristo per cantare un Cantico delle Creature al cui centro c'era però la croce di Gesù Cristo, con la conseguenza che senza guardare a quella croce non c'era salvezza. Dopo le sue stimmate, dopo la sua angoscia vissuta alla Verna egli cantò il Cantico delle Creature in cui si afferma un'altra verità, che non conttraddìce la prima ma la rende più profonda: tutte le creature sono buone; l'acqua, l'aria, la terra, gli animali, l'uomo sono tutti interni a questo amore che scende negli abissi insondabili e inesplicabili da cui tutto è nato e che dall'interno benedice tutte le cose. Poi, certo, c'è il peccato, c'è tutto il resto, ma questa è la verità prima: è questa preesistenza della salvezza alla storia degli uomini. È un'affermazione, come capisco, delicata perché implica una rimessa in sesto delle nostre categorie di giudizio, delle nostre prospettive sul mondo, però è estremamente evangelica perché, nonostante l'ombra del peccato, con cui ha riferimento la Croce, possiamo finalmente capire che la morte del giusto Gesù Cristo non è che il segno che questo mondo non si può salvare se non quando noi viviamo l'amore fino all'offerta di noi stessi.
Ernesto Balducci – “Gli ultimi tempi" vol.1