12 Gennaio 2025, Battesimo del Signore

12 Gennaio 2025, Battesimo del Signore

Prima Lettura Dal libro del profeta Isaia Is 40, 1-5, 9-11
Salmo 103
Seconda Lettura Dal lettera di San Paolo apostolo a Tito, Tt 2, 11-14, 3 4-7

 

Dal Vangelo secondo Luca Lc 3, 15-16. 21-22

 

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Mi ha colpito questa rapida nozione di Luca: «Il popolo era in attesa». E
difficile trovare un altro tempo nella storia in cui lo stato d’animo dell’attesa
sia stato così diffuso com’è oggi. L’attesa di qualcosa di nuovo che ci tragga
fuori dalle strettoie in cui ci troviamo chiusi, questa volta non è di questo o
quel popolo, ma è generale proprio perché generale è il sentimento del
pericolo in cui siamo, della solidarietà oggettiva che lega popolo a popolo, dal
più svilupato al meno sviluppato. Siamo si direbbe — in una situazione
messianica.
Le attese più si fanno acute e più diventano pericolose perché la loro delusione
genera follia. Ci corre persino l’obbligo di un certo riguardo a non suscitare
attese impossibili, perché il loro salario potrebbe diventare il disordine e la
violenza. Da una parte abbiamo il bisogno che l’ordine sia ristabilito. Pur
tenendo conto che l’ordine di cui parliamo è molto relativo, molto discutibile,
vorremmo davvero che esso fosse ristabilito. Vorremmo — per usare il
linguaggio di Giovanni il Battista che i ladri non rubassero, che gli sfruttatori
non sfruttassero, vorrernmo che i tutori dell’ordine pubblico non perseguissero
interessi privati. Nello stesso momento ecco il punto in cui l’innesto al
discorso evangelico diventa facile se appena appena riflettiamo all’abisso che
separa le istituzioni — anche nell’ipotesi che esse fossero in grado di custodire
l’ordine e quali sono incaricate — e le coscienze, ci dovrebbe prendere lo
sgomento. Si può parlare di abisso sia in senso geografico che in senso sociale.
In senso geografico si rifletta agli appelli coscienti o meno che provengono
dalle porzioni di umanità rimaste fino ad oggi abbandonate, estranee alla
dinamica della storia comune, subordinate, nel loro esistere e nel loro
muoversi, agli impulsi che vengono altrove. Queste porzioni di umanità si
risvegliano mirano a gestire da sé il proprio destino. Mi chiedo: che cosa
dicono a queste porzioni di umanità le grandi istituzioni di cui va fiero il
nostro mondo, a cominciare dalle chiese? Qual è la parola che può davvero
costituire, per la speranza già sepolta e che fa emerge, una direttiva, una
prospettiva di cammino? Le chiese del nostro mondo non hanno parole adatte.
Anche gli organismi internazionali, nati tutti nel clima del dopoguerra con
intenti universalistici, se andiamo a sfogliare i loro verbali, perseguono fini di
parte e aumentano la disperazione del mondo. Il divario è davvero da
situazione apocalittica.
Da “Il Vangelo della pace” vol.3 anno C

/ la_parola