10 APRILE 2022 – DOMENICA DELLE PALME – Anno C
10 APRILE 2022 – DOMENICA DELLE PALME – Anno C
PRIMA LETTURA: Is 50, 4-7 SALMO: 125 SECONDA LETTURA: Fil 3,8-14
VANGELO: Lc 22,14 -23.56 ( lett. breve 23,1-49)
Io non posso concettualizzare la morte di Gesù: essa è un fatto oggettivo, denso come le montagne. Non posso ridurlo in concetti divulgabili. O la sento nelle viscere della mia stessa. esperienza, nella profonda saggezza dei miei terrori, ed allora colgo ciò che esso annuncia. Altrimenti non basterebbero mille anni di chiacchiere teologiche per darmene una scintilla appena. Dobbiamo scendere nel negativo della nostra vita e sentirlo in tutta la sua forza, la sua legittimità. Solo chi è disperato sul serio può capire il messaggio della Croce del Signore, di quest’uomo Gesù che – lo avete notato nella narrazione – passo dopo passo precipita nella solitudine. Egli non e il capo che ha dietro di sé l’entusiasmo del partito che lo spinge ad affrontare la morte. Gesù non aveva nessuno dietro di sé. Abbiamo visto che i discepoli stessi lo abbandonano. Lo stesso prediletto Pietro dice: «Io, quest’uomo non lo conosco». Non solo il potere politico con le sue diplomazie, non solo la folla, integrata ormai nella ideologia del potere, ma tutti, anche i più intimi, lo abbandonano. Gesù entra nell’universalità attraverso la solitudine totale in cui muore. Anche il Padre lo abbandona: «Perché mi hai abbandonato?». Proprio entrando nell’annientamento totale – le cui misure sono veramente il Suo mistero – Egli tocca l’universale dell’uomo. Nessuno è così solo come Gesù lo fu. Nessuno ha abitato come Gesù nel deserto delle tentazioni. Anche della tentazione del sentirsi abbandonato da Dio che per chi ha fede nel Padre è la più radicale delle disperazioni. Questa è la linea oscura su cui dobbiamo scandire sempre il nostro approccio alla Parola evangelica. Mi rendo conto che parlare della Passione del Signore può essere anche un modo di accarezzare i nostri sentimenti di frustrazione, la nostra paura di vivere, il nostro tedio della vita. Può – questa altissima sapienza – capovolgersi in una insipienza tradizionale. Allora essa diventa quasi una assuefazione alla non-volontà di vivere; un reclinare il capo nella nausea dell’esistenza, imbalsamando questa nausea con profumi di devozione. Ma se noi cogliamo la Croce nella dimensione di fondo a cui essa ci convoca, allora no, essa non è mai alienazione, è verità che sta oltre tutte le verità. L’altra linea di ascolto della Passione è quella dell’amore per la vita. L’annuncio pasquale è un annuncio di vita, è questo lo straordinario! Il Vangelo, non ridotto a teologia e a dottrina, ma vissuto come esperienza densa dei suoi contenuti, è un inno alla vita. La Risurrezione del Signore è già interna alla Sua Passione, la sua gloria già attraversa il suo dolore. Ma di questo diremo nel giorno di Pasqua. Però non dimentichiamoci mai di questo incomprensibile amore che si addensa, senza tirarsi indietro, nelle solitudini incomprensibili, dell’abbandono, dell’isolamento e del tradimento. E l’amore che conduce Gesù nella suprema tenebra (il Venerdì Santo è proprio la tenebra più assoluta, perché si spegne anche Dio, perché neanche Dio si mosse a consolare il condannato dall’ingiustizia; fu invocato ed Egli non rispose); l’amore che entra nella totale negatività e diventa l’inizio della vita che non sarà soffocata. Bisogna avere un profondo amore per la vita, per comprendere il Vangelo intero, ma soprattutto la Passione del Signore. La parola «vita» andrebbe esplicata nei suoi significati autentici, e non in quelli banali, esteriori, vitalistici in cui spesso la vita si degrada nel proprio opposto. L’amore per la vita deve essere l’esigenza di fondo della nostra ricerca di fede. L’annuncio pasquale è tanto più vibrante e penetrante quanto più profondo è stato il nostro discendere nell’angoscia e nell’agonia e nella morte del Signore che è solo l’angoscia dell’agonia e della morte di tutti. Volevo anche invitarvi a collocare dinanzi a questo mistero la nostra situazione collettiva. Quando leggiamo – in questi giorni – della morte di giovani che nel loro smarrimento politico hanno annientato i loro anni più belli, mi viene uno sbigottimento che sorpassa il facile giudizio politico e la soddisfazione che questi giovani, che minacciano le nostre istituzioni, siano stati finalmente scoperti. In questi smarrimenti viene a galla una insipienza collettiva in cui sento qualcosa della passione del Signore. Pilato abita in molti luoghi; Erode è in molti luoghi, Caifa è in molti luoghi… I delinquenti appesi accanto alla Croce del Signore sono meno delinquenti di loro; in quei delinquenti che stanno uno a destra e l’altro a sinistra c’è il perenne emblema della disperazione o – se voi volete – del crimine di molti alle cui origini, forse, c’è stato un lampo di amore per la giustizia, un lampo che li ha accecati. In tutto questo vorrei gettare – senza andar oltre – la luce oscura ma profonda della passione del Signore. C’è qualcosa che stringe la nostra situazione collettiva a quel mistero.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3