1 maggio 2016 – VI DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
1 maggio 2016 – VI DOMENICA DI PASQUA – ANNO C
Se c’è un bisogno di esprimere la fede attraverso moduli sacri, si faccia pure: però non mi si neghi la prospettiva del superamento verso cui vado.
PRIMA LETTURA: At15,1.22-29 – SALMO 66 – SECONDA LETTURA: Ap21,10-14.22-23 – VANGELO: Gv 14,23-29
…Io considero evento positivo il fatto che non si costruiscano più chiese (quando è possibile): se esiste una comunità civica che ha spazi comuni per la propria esistenza civica, i cristiani non chiedano uno spazio loro: stiano nello spazio di tutti. Questo per me è un evento fausto, dove è possibile. Ma non per questo sono un demolitore di chiese, né per questo irrido coloro che le costruiscono. Se c’è un bisogno di esprimere la fede attraverso moduli sacri, si faccia pure: però non mi si neghi la prospettiva del superamento verso cui vado. Rispetto la fede ingenua, popolare, mista di «superstizioni» perché dentro quell’amalgama io scopro il tralucere della stessa fede che credo di avere. Però miro oltre. E così si dica riguardo alla violenza. Certo, non dico che si sancisca per legge che chi riceve uno schiaffo porga l’altra guancia. Però sono convinto che fino a che noi non avremo perso ogni fiducia nel porre la pace civica e internazionale sull’equilibrio della paura, noi vivremo sempre in pericolo di distruzione. Il vero modo di distruggere la violenza rimane quello che il Signore ci ha indicato: se ti offendono, sii buono con chi ti offende. Sembra stolto, ed al livello della razionalità tradizionale è stolto. Ma come ci ha insegnato anche quel grande testimone del Regno di Dio che è Gandhi, se io rispondo con mitezza a chi mi schiaffeggia, io lo disarmo, rendo umano il mio avversario, lo riporto a vergognarsi di sé, a cambiare nel profondo. In quel momento trionfa il Regno di Dio e si anticipa la pace che noi guardiamo nella prospettiva escatologica. Ho esemplificato, ed esemplificando mi sono caricato di un impegno che almeno teoricamente avrei: dimostrare come questa alternativa di non violenza può diventare un fatto a dimensioni collettive. Mi dispenso per ora da farlo. Volevo solo – attraverso un riferimento al Vangelo – far capire come noi siamo chiamati a ripensare in radice le cose che abbiamo già detto: se io vent’anni fa avessi dovuto commentare quel versetto evangelico, avrei detto che lì si tratta di un comportamento individuale consigliato dal Signore. Oggi sento che sono chiamato a riflettere ulteriormente per dire che non si tratta di un consiglio di un comportamento individuale come quello che noi ammiriamo, per esempio, in San Francesco d’Assisi. Si tratta di una concezione diversa dell’uomo, che noi siamo chiamati a mettere in pratica in tutte le dimensioni. Quando avverrà? Non lo so. Non sono le scadenze che importano, in assoluto, all’uomo di fede. L’importante è sapere che siamo a un punto decisivo. La violenza che si scatena, non sarà mai vinta dal contenimento – pur necessario – della repressione (che noi invochiamo, intelligente e volta davvero al bene comune). Mentre facciamo questo, mentre viviamo la necessità del relativo – come per il tempio, come per le culture – , puntiamo sull’ulteriorità: quella che ho indicato. Cioè la sostituzione della pace che il Cristo ci ha dato – e ci ha ricordato, ci ha svelato, ci ha testimoniato – alla pace dell’Ara pacis, degli equilibri delle paure, che è sempre – oggi soprattutto – un rischio continuo di catastrofe e di sterminio.
Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” vol. 3 – anno C