1 Gennaio 2015 – MARIA ss. MADRE DI DIO – Anno B
1 Gennaio 2015 – MARIA ss. MADRE DI DIO – Anno B
Noi non possiamo ereditare dal passato la Parola di Dio irrigidita nelle forme di meditazione con cui è stata arricchita: dobbiamo rimeditarla noi, nel nostro cammino.
PRIMA LETIURA: Nm 6,22-27- SALMO: 66 – SECONDA LETTURA: Ga14,4-7 VANGELO: Le 2,16-21
L’immagine che domina il brano del Vangelo di oggi è quello di Maria che non capiva le cose che aveva ascoltato, ma le custodiva in sé: delicata allusione al carattere itinerante che ha la fede, non solo in una persona, ma nell’umanità intera. Noi non possiamo ereditare dal passato la Parola di Dio irrigidita nelle forme di meditazione con cui è stata arricchita: dobbiamo rimeditarla noi, nel nostro cammino. E in questo momento della nostra storia, le provocazioni ad una meditazione totalmente nuova, sono – direi – invincibili, ci assediano. La giornata odierna è dedicata alla pace: è una parola che ci serve per verificare, in un momento nevralgico della nostra storia, la validità di quello che ho detto in linea generale e metodologica: di quale pace dobbiamo parlare? Sono secoli e secoli che le feste natalizie hanno fatto risuonare nell’umanità le parole della pace; e sono secoli e secoli che si fanno le guerre. E non a dispetto di noi cristiani, ma con tutte le consacrazioni e le benedizioni, e perfino con le giustificazioni ideologiche dei cristiani! Quella sapienza che in passato i cristiani ci hanno lasciato, oggi non ci serve a niente; è uno dei casi più esemplari. È inutile che uno frughi nelle dottrine del passato, sanzionate anche dal magistero, per trovare una risposta che sia all’altezza del tempo tragico in cui viviamo. L’anno che si è chiuso è l’anno in cui abbiamo deciso un altro passo avanti nella corsa agli armamenti: il pericolo della guerra è oggi più reale che non appena due o tre mesi fa. Vediamo che il mondo è lacerato da spinte imperialistiche e il nostro corpo sociale – quello a cui apparteniamo – è attraversato da spinte sanguinose di una disgregazione che ci chiama in causa, vorrei dire, in modo direttissimo. Come si può vivere la pace del Natale, continuare a fare le giornate della pace, se non ci domandiamo con tutta serietà quali siano le nostre responsabilità, come uomini e come credenti, di fronte a questo imperativo che oggi ha motivi estremamente gravi per diventare attivo, fecondo di invenzioni, di creazioni di comportamento, di iniziative pubbliche? Se noi, di fronte a questo appuntamento ultimativo della storia, continuiamo a parlare di pace in senso soprannaturale, è chiaro che il sale del Vangelo diventa scipito, e viene calpestato dagli uomini, i quali chiedono una pace ora, fin da adesso, e quindi chiedono a noi, portatori di un antichissimo messaggio di pace, in che senso quella parola può veramente modificare la vita dell’uomo e dare alla creazione del Padre a cui ci rivolgiamo, l’aspetto glorioso e fraterno e pacifico di cui ci parla la Scrittura. È questo un tema che ci lacera dentro. Le parole religiose hanno una loro carica di mistificazione cui dobbiamo reagire. La pace che noi dobbiamo volere è una pace che porta con sé, come una base infrangibile, la giustizia nazionale e internazionale. E questa giustizia non la troviamo bella e fatta: è tutta da fare. Quindi volere la pace vuol dire prendere posizione di lotta – ecco il paradosso – all’interno delle parti che si contendono il potere del mondo, perché vincano le parti che vogliono la pace, a cui sta a cuore la pace. Non si può vivere la pace se non lottando; è il senso tragico della nostra situazione. Chi è pacifico nel senso immediato della parola, cioè chi custodisce nel suo privato la tranquillità, non è un uomo di pace, perché non sceglie, perché vive nella irresponsabilità nei confronti del mondo che invece è affidato alle sue mani. E questo è il trapasso fondamentale…
Ernesto Balducci “Il Vangelo della pace”