1 Dicembre 2013 – PRIMA DOMENICA D’AVVENTO – Anno A
1 Dicembre 2013 – PRIMA DOMENICA D’AVVENTO – Anno A
Io so che devo farmi responsabile della giustizia perché fiorisca in questa terra.
PRIMA LETTURA: Is 2,1-5- SALMO: 121- SECONDA LETTURA: Rm 13,11-14°- VANGELO: Is 2,1.5
…Il regno di Dio noi spesso lo sogniamo i tutta la sua compiuta perfezione ma allora esso stimola quello che gli psicologi chiamano il desiderio infantile dell’onnipotenza. Le fiabe, delizia della nostra infanzia, ci davano appagamento perché esse assicuravano la corrispondenza fra l’avvenimento e il desiderio. Non possiamo vivere la fede con la logica della favola; non possiamo fare della fede una specie di sollecitazione del desiderio infantile dell’onnipotenza. Il regno di Dio è un germoglio di giustizia, un germoglio che va fatto crescere. Non è l’appagamento del desiderio che ci viene promesso; ci viene promessa l’efficacia della responsabilità. LA giustizia non è impossibile, trasformare questo mondo secondo giustizia non è impossibile: è importante tenerlo presente. Questa è già un’affermazione che urta contro l’opinione di tanti cristiani, che a partire dal concetto che il mondo è nel peccato e che per ciò non si può affatto cambiare, giustificano l’esistente. Usciti dalla suggestione dell’onnipotenza puramente immaginaria come quella delle favole, noi entriamo nell’età adulta della responsabilità. Io so che devo farmi responsabile della giustizia perché fiorisca in questa terra. Questa scelta non mi porta via dalla traiettoria della promessa di Dio, mi ci mette dentro: questa è un prima certezza di fondo. Quante volte, mentre manifestiamo la passione per la giustizia o per la pace, ci vengono fatte obiezioni del genere: voi pregate poco, pregate di più! È un modo di utilizzare la preghiera come alibi, come rifugio infantile. Si prega sì, ma con lo zaino sulle spalle; si prega con la spada dell’impegno in mano. La preghiera è nel ritmo della vita, è l’accettazione con tutto il cuore della prospettiva del regno; dobbiamo pregare non fuggendo per la verticale dove poi ci impigliamo nelle nuvole dell’immaginazione facendoci un Dio che ci dia consolazione perché rassomiglia a noi, ma ponendoci dinanzi alla prospettiva dell’impossibile diventato possibile. L’altro compito è quello indicato dalla Scrittura. «State attenti che i vostri cuori non appesantiscano in dissipazioni». Erano tempi, quelli, in cui la dissipazione poteva essere provocata soltanto dalla sregolatezza dei sensi, del resto non ignota nemmeno ai tempi nostri. Ma che ne sapevano allora delle dissipazioni a cui siamo sottoposti? Noi che siamo delle coscienze sommerse ogni giorno da oceani di informazioni dissipanti? Noi che ci facciamo l’immagine dl mondo dalla prima facciata del giornale che leggiamo? Noi siamo dissipati, perché le verità vere, quelle decisive, nessuno ce le dice. Siamo – per riprendere una immagine abusata, forse un po’ retorica – come i famosi viaggiatori del Titanic nel 1912 che danzavano, ballavano, brindavano mentre il transatlantico era vicino all’iceberg dell’urto. Siamo dissipati, ci occupiamo immensamente di frivolezze ed eludiamo i pericoli essenziali. Quello delle armi ad esempio. Se noi ci stiamo armando, nel tempo stesso in cui facciamo i bilanci per rubare i soldi in tasca ai poveri, siamo dissipati e siamo fuori della verità. La dissipazione ci serve per rimanere tranquilli nella falsità, con la bussola dell’opinione sulla stella polare del potere. Siamo dissipati e allora, dice la Scrittura: «in quel momento vi piomberà addosso all’improvviso – come sono terribilmente vere queste parole nell’era atomica! – come un laccio si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra». È una possibilità, tutti lo riconoscono, ma è una possibilità che non deve essere pensata e deve esser detta con cautela: su ventiquattro ore di trasmissione appena mezzo minuto, in modo che la verità sia detta,ma non funzioni! Il nostro compito è di lottare contro la dissipazione, di spezzare tutte le cortine della malainformazione che mirano a tenerci lontano dalla verità che riguarda il futuro della terra che ci è affidata.
Ernesto Balducci: da “Il Vangelo della pace” vol. 3 anno C